Poesie della Sig.ra Antonia Spanò cittadina roccafortese residente a Roma
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Roccaforte del Greco Terra, mia terra selvaggia, arsa da sole cocente solchi che gridano rabbia. Alla rugiada che scende alla rugiada che passa sopra le foglie sporgenti e che non penetra fonda dentro le zolle bollenti, per dare vita a quei semi dentro la terra dormienti chicchi che aspettano invano di diventare frumenti ecco che arriva la pioggia ma si trasforma in torrenti scava travolge quei semi e non rinasce più niente
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Il mio borgo Borgo antico, borgo spento senza un tenero rintocco di campane senza voci di bambini senza cani senza vecchi zampognari per Natale senza voci di comari quando è sera senza odori di castagne né di pane Borgo spento e consumato come luce di candela che resiste finché un alito di vento non arriva e vi spegne ogni speranza ecco è sera! |
Calabria mia La mia Terra, la mia selvaggia e splendida Calabria, il sole è sempre nuovo te lo senti sulla pelle come una carezza d’angelo. La luna è di neve, il cielo è di fuoco tanto è coperto di stelle. L’aria è limpida la respiri ti entra nelle vene e ti ristora l’anima. Il profumo di gelsomini e di zagare ti stordisce dolcemente. Chi non conosce la Calabria non è in pace con Dio. Non sa cosa ha saputo fare la natura. La gente è semplice, cordiale, dignitosa. Le donne altere nella loro semplicità. I loro occhi sono grandi e profondi come i laghi della splendida Sila Occhi che sanno cos’è la povertà, il lavoro, occhi che piangono quando il destino li ferisce ma che tornano a sorridere e a guardare lontano non appena la bufera si allontana. |
Le mie fiumare L’arido letto delle mie fiumare ricorda l’acqua che l’ha accarezzato. Sassi lucenti modellati a mano, qualche piccolo seme germogliato grazie all’antica acqua che ha bevuto. Una ranocchia saltella sperduta cerca il compagno che l’arsura ha ucciso. Un passerotto dall’aria malata perde le piume e cinguetta smarrito. Fiumara bianca che separi i boschi, nastro d’argento che vai verso il mare a questo mare porti solo sassi. L’acqua tua pura l’hai lasciata andare tra le pozze del tuo lungo cammino ed ogni estate è questo il tuo destino. Ecco l’inverno e tu diventi grande, torna a scorrere l’acqua tra i tuoi sassi, raggiungi con impeto il mare e come amante che arriva da lontano col cuore in gola per la folle corsa ti tuffi fresca tra le onde chiare ma la dolcezza tua diventa sale |
Roccaforte del Greco Il mio paese presepe e calvario arrampicato sulle rocce quasi un presepe. Pastori per le strade come un presepe, Paglia nelle campagne come la capanna del presepe. Donne che adorano i figli come la Madonna del presepe. Vecchi curvi come San Giuseppe del presepe. Zampognari stanchi che suonano le nenie di Natale. Madri con le lacrime negli occhi salutano chi parte per lavoro. Una lettere arriva da lontano, tuo figlio è morto dentro una miniera. Tutta la gente accorre si stringe intorno ad una madre che trema. Così il Presepe diventa Calvario, con cento, mille croci e sulle croci è scritto: Povertà! |
Casa di pietra Casa di pietra che resisti al tempo qualche ruga solca la tua fronte nevica sui bruni tuoi capelli e c’è il peso degli anni sui tuoi fianchi ora hai paura di restare sola gli amici tuoi sono lontani ormai e il letto con le candide lenzuola è là che aspetta chi non arriva mai non aspetta chi non arriva mai non aspettare più casetta mia da te non torna l’ospite gradito e se tornasse con la fronte stanca pietà ne avresti vedendo sfiorito ed al ricordo degli anni migliori a stento noteresti il suo sorriso e la gaiezza delle primavere trascorse tra le bianche tue pareti se torna adesso quel tuo stanco amico tutto il sorriso si trasforma in pianto e forse da una lacrima che cade a primavera potrà sbocciare un fiore |
Casa mia
Mia vecchia casa, ho nostalgia di te. Ricordo con amore ogni angolo, ogni cosa. Il fuoco del camino i vetri appannati attraverso i quali guardavo il volteggiare festoso dei fiocchi di neve. L’odore delle cose semplici che la mamma preparava per la vorace fame di noi bambini. L’allegro rumore degli zoccoli sui pavimenti di legno. Il balcone traboccante di gerani e basilico. e tanti, tanti altri ricordi impressi nella mia mente Che nessuno potrà cancellare. ora sei sola, tutto è silenzio, tutto è spoglio. Ti chiedo perdono per il mio forzato abbandono. Sono lontana, ho una casa più bella, però casa mia sei sempre tu. E’ te che penso quando dico: casa mia, piccola vecchia casa di paese. E’ da te che vorrei correre nei momenti di tristezza per trovare un po’ di pace nel tuo abbraccio quella pace fatta di piccole cose che qui non riesco a trovare. Ti abbraccio casetta e tu accogli la mia pena la pena di chi ti ha dovuto lasciare perché la vita ha voluto così. La pena di chi partendo credeva di trovare il Paradiso e non capiva che il Paradiso eri tu. |
La mia fiumara
Scorri ancora mia vecchia fiumara a te il tempo non fermerà i passi la tua strada cosparsa di sassi guida l’acqua che va verso il mare corri, corri il mio sguardo ti segue a te affido le gioie e i dolori porta in mare l’amaro del cuore che si sciolga così come il sale e con l’onda dell’alta marea meno amaro a me fallo tornare.
Nostalgia
Terra lasciata negli anni migliori con la speranza di fare fortuna Terra lontana rimani nel cuore i tuoi tramonti non posso scordare ed i tuoi campi coperti di fiori notti serene mi fanno sognare; la nostalgia travolge la mente vedo passare la vita che fu ed ogni giorno ricordo la gente che mi fu amica e non vedo più Terra, mia terra radice di vita quanti ricordi custodisci tu ricordi cari e rimpianti infiniti di un tempo andato che non torna più. |
Canti di Roccaforte del Greco raccolti nella primavera del 1873 da Giuseppe Morosi
Puccati’ s tim bortasu erisa to lucchio Ola ta passemmena ta sdimmonia. I umbra i dikisu m’epiae ndo lucchio, c’ego esuperespa ola ta demonia. Ma sirma pu su mo’ piae to lucchio, en ganni ja mma plene i cerimonia: m’edese ja panda esu me tundo lucchio, ja na schiattespun’ ola ta demonia |
Dacchè alla tua porta gittai l’occhio, tutte le cose passate le dimenticai. L’ombra tua mi ha preso dall’occhio, ed io superai tutti demoni. Ma subito che tu mi hai preso l’occhio, non fanno più per noi le cerimonie. Mi legasti per sempre tu con codesto occhio, acciocchè crepino di dispetto tutti i demoni |
Na mi kamise dubbj apanu’ s emmena, ti o logose o dikommu de mmanchégui; pisteguo t’imme fermose olo essenza; danese ta penserimu piscegui. Ta sitadriamu ene ola delemmena, ma enammu oftrò perseguitégui; sitarimmu ise esu, pu kannija mmena; oftrommu e ccino pu se pretedegui. |
Non far dubbi sopra di me, che la mia parola non fallisce, credo di essere fermo tutto in te; nessuno i pensieri li pesca. Il mio grano è tutto ricolto, ma un mio nemico mi perseguita: il mio grano sei tu, che fai per me, il mio nemico è colui che t pretende |
Essu ja agapi i dikimmu ise ossu, c’ego an dom batri en ekho libertati. Sa a prama dependégui ase tossu, e ssonnise kratine iniquitati. e ssoise trattenespi akomin' ossu, forci alarghéguusine i scelerati; ce sirma sirma me porise ambrossu, ce totem u ngrnizzi im buluntati |
Tu per amor mio sei dentro, ed io da mio padre non ho libertà. Quando la cosa dipende da tanti, non la puoi ritenere una iniquità. Se puoi trattenerti ancora dentro, forse si allontaneranno gli scellerati; e subito subito mi vedrai innanzi a te, e allora mi conoscerai la volontà. |
Tote s'afinno sane pu apepeno, ce pio se kanundi, ton ghiìjeo khanni: a su plategui kané dopu ti apepeno, ingiuriane emmena mu den ganni. 'gò sperèguo dipoi ti imme khumeno, nemmenu na mu kamisen' anganni; 'ce pos ego essena imme demeno, emmena éhji na pari ola ta affanni. |
Allora ti abbandonerò quando sarà morto, e chi ti guarda il suo tempo perde: se ti parla qualcuno dopo che io son morto, ingiuria a me non me ne fai. io spero che nemmeno dopo che io sarò sepolto, tu non mi farai inganni; e come io a te sono legato, a me mi hai da levare tutti gli affanni
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Poesie di Don Domenico Spanò
A mia madre Donna altera, di carattere forte, Spesso cedente nell’umiltà preziosa, Modello di bontà fino alla morte Prudente ti mostrasti e degna sposa Di dodici figlioli, che la sorte Non aiutò, né fu lor generosa, Io sono il primo, che bussai sue porte, A cui s’apriron di luce giocosa Lottai per la giustizia e con la morte Per la Gran Religione misteriosa, ti riconosco tra le donne accorte Qual dolce madre di virtù radiosa E come nutro affetto al Creatore Così ti consacrai rispetto e amore! |
Alla Madonna Vergine bella, Madre del dolore, Tu che soffristi più d’ogni mortale, purifica, Ti prego, questo core e fa che sempre in alto spinga l’ale Legarsi a questa cosa vale? Passano via gli anni e solo poche ore Restan di vita e pur si vivon male. Chi serve Te, non soffre e neppure mo Tu mi guidasti nelle più ardue imprese, tu confortasti l’alma mia confusa e perdonasti pure le mie offese Conservami il Tuo amore e la mia Musa Or Ti consacro e resto nel paese Per innalzarti un tempio in valle o Quel tempio chiamerassi Santa Maria Deh! Sorreggimi per farlo; Ave Maria!
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Sulle rovine di Messina Albe serene, di Sicilia vanto Albe gioconde luminose e care, Un’altra di terror, alba di pianto spuntò dal mare. Eran giardini dalle vaghe aiuole, Cui fè natura d’ogni grazia dono, Eran ville qua e là splendenti al sole E più non sono. Eran bimbi vezzosi, eran donzelle, Erano marinai gagliardi e forti, Avvezzi a superar nembi e procelle E pur son morti. Reduci a sera dal gran mare iroso Entro il rifugio del paterno ostello, Non già il dolce trovar blando riposo, Bensì l’avello. Invan brillava il ciel puro e sereno. Invan fiorian gli aranci all’onde accanto, Di sì ridente plaga in un baleno Finì l’incanto. Italia mia! Fra le crollate mura. Tra mille e mille sanguinanti fosse, Oh, se plorar l’immensa tua sventura Dato mi fosse! Pianger vorrei sui ruderi temuti Dell’alma carità ergere la face, l’ossa raccor dei miseri caduti, Vedrà l’aurora. E sia! Se dalla polve sparsa al vento Rinasce un fiore, dalla tua ruina, Plaudente Italia a si solenne evento, Sorgi Messina! Se nell’Italo ciel manca una stella, Stella scomparsa fra gran lutto e duolo, Torna a far lieto di tua luce bella L’Italo suolo. |
Ai soldati d’Italia Prodi soldati, vittoriosi e forti, Che per l’onor d’Italia al fronte andate, Io vi saluto e lodo. I nostri morti Vivono per le genti liberate Dal vergognoso giogo degli Asburgo Che han sempre vilipeso e angariate Nostre regioni. Ormai dal sonno surgo E vi scongiur perché le vendichiate. L’Italia lo stranier mai sopportò; Avanti sempre, perder non si può! Terribile è la guerra, ma gli effetti Mirabili saranno e dico il vero: Scompariranno due regnanti inetti, Il Turco e poi l’Austriaco, che più nero D’iniquità mostrò d’avere il cuore. Domato pur sarà il superbo impero Germanico; novella dolce aurora Roma vedrà, splendor del mondo intero. E il suo Re con l’Esercito forte Che degno militar, sfida la morte, Va sempre avanti per virtù e valore, Va sempre avanti al posto dell’onore.
Alla Santa Vergine Vergine Madre, che soffristi molto Per gli spasimi atroci del Tuo Figlio, Solo per tuo voler non fui sepolto Ed ho scansato l’orribil periglio. Nella mia vita mi son sempre volto A te nei dubbi immani per consiglio E, del vizio comun rimasi sciolto, Amando sopra ogn’altro il Tuo bel Figlio. Ebbi gran fede nella Tua clemenza, Amai giustizia senza paragone Al prossimo mostrai benigno il viso. Spesso mancai di tatto e di prudenza Come Ministro della Religione, ma spinsi sempre tutti al Paradiso.
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Poesie di Pietro Sgro
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Vunì (Il paese sulle rocce) T'ergi supremo su poderosa roccia,
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Festa di San Rocco Notte e brezza avvolgono notte d'Agosto Genti si ritrovano in scenario unico, Tre bandiere a simboleggiar Italia, La festa si chiude, pregando il Santo devoto |